Lo sport può creare speranza

dove prima c'era solo

disperazione. È più potente

dei governi per abbattere

le barriere del razzismo.

Lo sport è capace

di cambiare il mondo.

 Nelson Mandela

 

 

 Non crediate a quelli che

vi dicono che il mondo si

divide tra vincenti e

perdenti, perché il mondo

si divide soprattutto tra

brave e cattive persone,

questa è la divisione

più importante.

Poi tra le cattive persone

ci sono anche dei vincenti,

purtroppo, e tra le brave

persone, purtroppo, ci

sono anche dei perdenti.

 J. Velasco  

 

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FRANÇOIS PIENAAR

 

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     François Pienaar è nato a Veereniging (Sudafrica) nel 1967, e ha esordito nel rugby con il Transvaal nel 1989.

 

     Pienaar è il giocatore che ha ereditato la fascia di capitano degli Springbocks (così è chiamata la nazionale sudafricana di rugby) e ha avuto la fortuna di giocare nel periodo in cui la sua nazionale è uscita dal bando imposto per il vergognoso regime dell'apartheid. François è riuscito in questo modo a diventare uno dei più famosi giocatori sudafricani di sempre ed il capitano degli Springbocks di maggior successo di tutti i tempi. Carismatico al punto giusto e grande professionista, questo flanker (ala di terza linea) ha guidato i suoi uomini prima di tutto con l'esempio, ottenendo così il massimo rispetto sia dentro che fuori dal terreno di gioco. È stato un atleta che in campo ci metteva sempre il massimo impegno e tutto il coraggio che possedeva, fino al punto da apparire sconsiderato: per Pienaar sembrava non vi fosse alcuna palla che non potesse fare propria.

 

     Nel 1992 è arrivata per François la chiamata in maglia verde per disputare due gare contro la Francia e ha esordito in nazionale partendo subito come capitano.

 

     La coppa del mondo del 1995 il Sudafrica l’ha voluta ed ottenuta con grande determinazione. Un intero Paese, per la prima volta nella sua storia, si è trovato unito a sperare sotto un’unica bandiera. Gli Springbocks si sono trovati subito di fronte gli australiani campioni del mondo in carica, e li hanno superati 27 a 18. Nei quarti i verdi hanno strapazzato Samoa 42 a 14, mentre la semifinale contro la Francia è stata giocata a Durban sotto una pioggia torrenziale, una battaglia che ha regalato ai padroni di casa la gioia di una vittoria di misura per 16 a 15 e la possibilità di giocarsi la finale contro gli All Blacks (la temibilissima nazionale della Nuova Zelanda). Poche erano state in passato le possibilità per gli Springbocks di battere gli All Blacks, che tra l’altro arrivavano da un cammino mondiale impeccabile e presentavano al mondo il talento di Jonah Lomu. Nonostante tutto, il Sudafrica ha vinto 15 a 12 grazie ad un micidiale drop di Stransky nell’extra time. François Pienaar è stato votato “Rugby Personality” di quell’anno da parte del Britain’s Rugby Union Writers'Club e anche “Newsmaker of the year” in Sudafrica.

 

     Ma più di tutto è rimasta nella mente dei tifosi, e non solo, l’immagine di questo flanker di quasi 2 metri per 109 chili che riceve dalle mani di Nelson Mandela la coppa del mondo. Un’icona di grande impatto politico per un Paese che provava a fare di tutto per scrollarsi di dosso la triste immagine dell’apartheid. Quando un giornalista ha chiesto a Pienaar cosa provava nell’avere il sostegno delle 63000 persone che si trovavano all’Ellis Park, egli ha risposto: "Non avevamo 63000 tifosi dietro di noi oggi, ma 43 milioni di sudafricani". Un politico di lungo corso non avrebbe potuto dire di meglio ed il ruggito di approvazione che ha salutato la sua dichiarazione è stato assordante. Nelson Mandela più tardi ha scritto: “È stato con François Pienaar che il rugby è diventato l'orgoglio di un intero Paese”.

  

     François si è ritirato dai campi di gioco nel 2000, e oggi vive a Cape Town, con la moglie Nerine e i due figli, uno dei quali ha Nelson Mandela come padrino. Nel 2004 è stato votato al cinquantesimo posto nella Top 100 dei più grandi uomini sudafricani.

  

     Nel 1999 Pienaar diede alle stampe un libro, Rainbow Warrior, (in italiano Ama il tuo nemico), che è stato la base da cui, nel 2009, è stato tratto il soggetto del film Invictus, diretto da Clint Eastwood. «Quando Nelson Mandela mi diede la Coppa mi disse “Grazie per quel che ha fatto per il Sudafrica”, ma io gli risposi: “No, signor Presidente, grazie per quel che ha fatto Lei per questo Paese!”».