Lo sport può creare speranza

dove prima c'era solo

disperazione. È più potente

dei governi per abbattere

le barriere del razzismo.

Lo sport è capace

di cambiare il mondo.

 Nelson Mandela

 

 

 Non crediate a quelli che

vi dicono che il mondo si

divide tra vincenti e

perdenti, perché il mondo

si divide soprattutto tra

brave e cattive persone,

questa è la divisione

più importante.

Poi tra le cattive persone

ci sono anche dei vincenti,

purtroppo, e tra le brave

persone, purtroppo, ci

sono anche dei perdenti.

 J. Velasco  

 

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ABEBE BIKILA

     Abebe Bikila nasce nel 1932 in una cittadina chiamata Jato, a circa 130 Km da Addis Abeba. Secondo la tradizione del suo popolo, il ragazzo passò la gioventù a fare il pastore e lo studente. A dodici anni terminò la scuola, la cosiddetta “Qes” ed ebbe già modo di distinguersi nelle attività sportive che vi si svolgevano.

 

     Bikila è il simbolo della maratona. Inizia a 24 anni, allenato dallo svedese Onni Niskanen. Diventa celebre con la vittoria alle Olimpiadi di Roma del 1960, correndo in un percorso che superava la consuetudine - ripristinata dalla edizione successiva in Giappone - che voleva l'inizio e, di certo, il traguardo all'interno dello stadio olimpico. Alla vigilia pochi consideravano Bikila tra i favoriti, nonostante avesse fatto segnare un tempo notevole nei giorni precedenti.

 

     Quel giorno, il 10 settembre 1960, Bikila passa alla storia per un paio di caratteristiche: la corsa senza scarpe e la naturalezza con cui completa i 42,195 km, mangiando soltanto un'arancia e compiendo esercizi di rilassamento dopo aver tagliato il traguardo. È un momento di svolta. Dalla maratona massacrante di Dorando Pietri a inizio Novecento, si era passati alla maratona con tattica difensiva, puntando alla conservazione delle proprie energie psico-fisiche, aspettando il cedimento degli avversari. Bikila porta un nuovo modo di correre la maratona: attaccando, ma nella consapevolezza di avere sufficienti riserve per portare a termine la gara in condizioni accettabili. 

 

     Nel 1964 è alle Olimpiadi di Tokio. Stavolta Bikila corre con le scarpe, bianche e spartane. Ed è di nuovo medaglia d'oro, con il tempo di 2h12'11'', primo nella storia olimpica a vincere la maratona in due edizioni consecutive. Quello giapponese è un Bikila differente da quello "caduto" sulla Terra, a Roma; ormai ambasciatore dello sport e personalità di alto livello del suo paese. Nessuna vittoria però sembra poter saziare la voglia di correre e vincere, tanto che poco dopo pensa già alle successive Olimpiadi di Città del Messico.

 

     Ma lì Bikila deve affrontare l'avversario peggiore: il tempo che passa. Durante la corsa, accorgendosi della impossibilità di ripetere le due precedenti prestazioni olimpiche, cede il testimone al suo compagno di squadra Mamo Wolde, poi medaglia di bronzo a Monaco '72 e in seguito coinvolto nelle vicende politiche dello stato etiope. Anche per i mass media il personaggio Bikila sembrava aver ormai fatto il suo tempo.

 

     Quindici maratone, 12 vittorie. Una tabella impressionante iniziata con quella di Addis Abeba nel giugno 1959. Sempre primo, tranne un quinto posto a Boston nel maggio 1963 e due ritiri: le ultime due gare, a Zarauz, in Spagna, nel 1967 e a Città del Messico.

 

     La storia di Bikila prende un altro corso nel 1969 quando, a seguito di un incidente d'auto, rimane paralizzato alle gambe. Nonostante le cure e l'interesse internazionale non riuscirà più a camminare. Lui che aveva sempre amato fare sport alternando discipline, come quando da maratoneta non rinunciava a giocare a calcio, a tennis e a pallacanestro, non perde la forza di continuare a gareggiare: nel tiro con l'arco, nel ping pong, perfino in una gara di corsa con le slitte in Norvegia. Fino alla morte, nel marzo del 1973. Le speranze e la fiducia verso il futuro che caratterizzarono gli anni Sessanta furono cancellate in modo tragico negli anni Settanta.

 

     Come la storia di Abebe Bikila: "quello che correva senza scarpe".

 

Maratona di ROMA - 1960